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DISABILITÀ E RAPPRESENTAZIONE

Occuparsi di disabilità al museo significa imparare a pensare in modo nuovo alla relazione con i visitatori ma soprattutto mettere a fuoco i nostri pregiudizi impliciti.

Diverse persone si muovono in uno spazio, ognuna con bisogni e supporti specifici

LA DISABILITÀ AL MUSEO

Interrogarsi sulla necessità di rendere accessibile il patrimonio è la prima sfida alla sua piena valorizzazione e le premesse perché questo avvenga ci obbligano anche ad
riflessione sulla disabilità.
Innanzitutto, si tratta  di ripensare alle gerarchie di una normalità presunta: vogliamo davvero definire “speciale” qualsiasi progetto destinato a persone con bisogni specifici?
O forse la diversità deve diventare il tratto fondante con cui concepire i pubblici?
Di certo si tratta di scardinare certe percezioni diffuse: ad esempio, serve ricordare che la disabilità può essere invisibile, accompagnarci in forma temporanea e accidentale, ma soprattutto sopraggiungere quasi inevitabilmente con l'avanzare dell'età.
Ciò detto, ad oggi, la disabilità in ambito culturale è certamente sottostimata rispetto ai suoi numeri, considerando appunto anche le crescenti necessità di una società sempre più anziana: contribuire nelle scelte alla diffusione di proposte accessibili significa così sia rimuoverne socialmente quel costrutto che la rende sempre un’eccezione, sia accompagnare moltissimi visitatori nel corso delle loro vite.



 

I MODELLI PER COMPRENDERE

Per definire e comprendere la disabilità sono stati elaborati molti modelli. Se storicamente la disabilità era considerata alla stregua soprattutto di un modello morale (la disabilità è un peccato o una punizione) e medico (la disabilità va curata ed è responsabilità dell'individuo), negli anni '70 i movimenti per i diritti e la riflessione teorica promossa dai disability studies hanno portato verso nuove consapevolezze.
La grande rivoluzione è stata certamente rappresentata dall'introduzione del modello sociale che distingue la disabilità dalla menomazione, definendo la prima quale il risultato delle interazioni con il contesto; in altre parole, la disabilità non è un problema del singolo ma nasce sempre dall'interazioni con le barriere esistenti e per questo assume responsabilità sociale.

Il caso più facile da comprendere è quello di una rampa di scale: se non ci fosse, una persona su una sedia a rotelle non percepirebbe alcuna difficoltà nell'accesso e di conseguenza neppure il peso della sua condizione. Questo stesso esempio però non vale per tutte le condizioni (basti pensare alle disabilità intellettive o severe) ed è per questo che ad oggi si preferisce adottare un modello multifattoriale come quello chiamato bio-psico-sociale che tiene conto di una pluralità di elementi concorrenti.

PERCEZIONE E COINVOLGIMENTO

In un epoca storica in cui la disabilità risente ancora di un percezione che oscilla fra il pietistico ("poverini") e l’eroico ("persona con la sindrome di Down si laurea"), occorre riportare l’attenzione su approcci capaci di disarticolare alcuni stereotipi ricorrenti. Innanzitutto, lavorare sulla qualità e la cura (anche comunicativa) delle proposte dedicate all'accessibilità delle persone con disabilità permette, anche ai musei, di dimostrare la propria competenza in materia.
Inoltre si tratta sempre di interrogarsi sugli impatti percepiti e soprattutto coinvolgere i destinatari: "Nothing about us withous us" (nulla su di noi senza di noi) rimane un motto degli anni Settanta che ha molto da insegnarci ancora oggi.

LA STORIA DELLA DISABILITÀ
Nel nostro paese la disabilità è stata tradizionalmente percepita come un tabù e ricordarcelo è utile a comprenderla: una condizione costruita socialmente e che tuttavia necessita ancora di analisi così come emerge spesso anche negli approcci museali. Per mettere a fuoco la dimensione culturale della disabilità due libri da non perdere sono Storia della disabilità. Dal castigo degli dèi alla crisi del welfare (2012) di Matteo Schianchi ma anche Disabilità e società: Diritti, falsi miti, percezioni sociali di Tom Shakespeare (2017).

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